Oggi, a cento anni dalla nascita, Hannah Arendt è riconosciuta anche in Italia come una delle grandi voci della filosofia contemporanea. Almeno a parole, perché al riconoscimento - spesso retorico, spesso orecchiato - si accompagna quasi sempre il fraintendimento o la rimozione delle sue tesi più scomode e più radicali.
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Questo volume che Paolo Flores d'Arcais le ha dedicato nasce invece nella prospettiva opposta. Si è stratificato nel corso di vent'anni, assumendo come filo conduttore l'aspetto del pensiero della Arendt che più si scontra con il "pensiero comune". L'idea, cioè, che l'esistenza autentica si raggiunge nella sfera pubblica - la politica - anziché nel ripiegamento privato. Non dunque in interiore homine, neppure inteso come luogo della meditazione filosofica, ma proprio nella partecipazione a quel "nuovo inizio" che è l'azione quando consente all'inaudito di fare irruzione nel mondo. Paradosso incomprensibile per la tradizione liberale: che l'individuo si realizzi nell'agire pubblico e comune e si perda invece nel trafficare privato dell'homo oeconomicus. I saggi qui raccolti, a partire dal primo del 1985 (il più corposo, una monografia che affronta tutto il pensiero della Arendt) fino all'ultimo del 2006, ricostruiscono l'itinerario del pensiero critico della Arendt che ha sempre considerato la politica il vero problema dell'uomo.