Pedro ha un sospetto, una speranza, forse una fede: crede che il suo cane Lobo sia capace di fiutare la morte. E con un talento così, pensa, si potrebbe davvero impedire che muoiano le persone a cui vogliamo bene. Che muoiano troppo presto, almeno. Invece, ad andarsene anzitempo per un infarto è proprio Ida, la sua compagna, e lui si convince di averle “rotto il cuore”.
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Pedro e Ida si erano conosciuti nella clinica veterinaria di Aridosa, città speciale sorta dalle macerie di un borgo grazie alla volontà e all’ingegno della Professora: un luogo dove i vecchi possono andare incontro alla fine con dignità e dove immigrati e seconde generazioni, accudendo loro, intanto reinventano l’Italia e la vita. A Ida, veterinaria di Aridosa, Pedro aveva confidato la sensazione che i problemi di salute di Lobo fossero, in realtà, segnali del suo straordinario talento. E adesso che Ida è morta, Pedro si colpevolizza e si dispera: non avendo saputo leggere i segnali mandati da Lobo, non è riuscito a salvarla. Ma col tempo – anche grazie al fratello di Ida che di questa storia è la voce narrante – Pedro capisce che Lobo non è attratto dall’odore della morte, ma da quello del bene che compiono certe persone: dal buono che si lasciano dietro, magari senza accorgersene. E allora da Aridosa, inseguendo la scia di quest’odore di buono, Pedro e Lobo iniziano un viaggio che è un’indagine nel sentimento del mondo: perché l’amore, in fondo, è un odore. Dopo sei anni di silenzio, Alessandro Mari torna alla narrativa con una scrittura simbolica e al tempo stesso concretissima. A passi lievi, con umorismo e tenerezza, con realismo e poesia, si muove in ciò di cui più importa agli esseri umani e alla letteratura: l’amore, la morte, la forza benefica che viene dalla capacità di immaginare qualcosa che magari non si vede, sì, ma si sente eccome.