Tre racconti inediti sulla nostalgia, l’egoismo e l’illusione di vivere. Il primo, Un amore in pericolo, mette in scena il rammarico delle cose perdute, i momenti felici che sempre, e per sempre, svaniscono.
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Per Sylvie il senso della perdita si tinge d’una interrogazione morale: dove va il pensiero nell’ora estrema, incerto tra il pentimento e il rimpianto? All’ansietà dolorosa di un lungo amore o alla breve convulsione di un momento di piacere? Il suo dilemma servirà all’autrice tre anni più tardi per l’ossatura del romanzo Due (1939). Un delicato studio filosofico sulle età della vita è invece l’ordito del secondo racconto, Giorno d'estate, in cui Irène Némirovsky si concentra sull’ossessione tutta umana di ritenersi sempre al centro dell’universo (“Ognuno vede soltanto se stesso”), per deviare poi su un piano chimico, biologico, ineluttabile: l’indifferenza universale della natura all’incessante mormorio dell’esistenza, “Io, io, io”. Si tratta forse dello stesso egoismo che sembra ispirare la madre del giovane assassino e il procuratore incaricato di condurne il processo, protagonisti dell’ultimo racconto, L’inizio e la fine, un egoismo che nella donna scatena una difesa insensata se non controproducente, e al secondo, col mero tramite di una fredda requisitoria, fornisce l’illusione di vivere.