Gihad, termine evocatore di antiche paure, crociate, scontri di civiltà, è utilizzato sempre più di frequente per definire la guerra che l'Islam sembra aver dichiarato all'Occidente.
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Già tradurre il termine con l'improprio "guerra santa", invece che con il più corretto significato di "sforzo", comporta una distorta interpretazione di questa categoria concettuale che, sviluppatasi all'epoca dello splendore e dell'espansione della civiltà islamica, fu poi per lunghi secoli soggetta a una sorta di ridimensionamento, soprattutto dal punto di vista dell'agire concreto. Solo in epoca recente, riemergendo dagli antichi manuali di "fiqh" e di scienza militare dei primi secoli dell'Islam, il gihad è tornato alla ribalta con una connotazione decisamente diversa. Le pagine dei "fuqaha" che di gihad avevano scritto tanti secoli prima, sono state analizzate e rielaborate, spesso in senso eversivo e rivoluzionario, per le nuove generazioni di islamici votati al martirio, condensate nei nastri di migliaia di audio e videocassette, nelle prediche dagli schermi televisivi e nei personal computer. Al di là degli specifici contenuti o della congiuntura politica, buona parte del successo del messaggio propagandistico e militante del gihad va senz'altro imputata all'utilizzo intelligente e spregiudicato della tecnologia moderna. Oggi più che mai.