L’opera di Le Guin abolisce il concetto di nemico, lo smonta, fa apparire tutti i guasti che derivano da questa contrapposizione, e accoglie l’altr* come espansione della conoscenza.A distanza di più di cinquant’anni, The Left Hand of Darkness (La mano sinistra del buio) di Ursula K. Le Guin possiede ancora la stessa potenza di cui disponeva nel 1969.
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Giuliana Misserville ce ne restituisce una lettura queer, a partire dalla vita e dalle scritture dell’autrice, volta a sottolineare tutta la carica sovversiva e visionaria di un romanzo apripista dei canoni inversi, ambigui e tranfemministi e che, per ammissione stessa dell’autrice, è un grandioso esperimento sociale volto a decostruire il genere e a mettere in discussione i meccanismi binari della società. The Left Hand of Darkness tiene assieme individualità e utopia universale, lo spettro della morte e la gioia che apre al desiderio di conoscenza, e così facendo si pone come terreno d’incontro tra due liminalienità, il binarismo di Genly Ai e la fluidità di Estraven: una storia, la loro, di cui abbiamo ancora fortemente bisogno, centrata come è su due persone che imparano a comprendersi nonostante le barriere culturali e gli stereotipi sessuali.